giovedì 7 giugno 2012

Infortunio sul lavoro, la colpa determina il risarcimento


La responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 cod. civ. non è una responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.

Nel caso al vaglio della Corte, il giudice di merito aveva respinto la domanda risarcitoria di un infermiere professionale, infortunatosi durante lo scavalcamento di un cancello nel tentativo di raggiungere un paziente allontanatosi dal nosocomio, ove si trovava in ricovero volontario,
 
Secondo i giudici di legittimità, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell'articolo 2087 del Codice civile, esiste un obbligo di prevenzione che "abbraccia ogni tipo di misura utile a garantire il diritto dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi" e che, quindi, comprende ogni misura imposta dalla legge e ogni altra che, alla luce dell'evoluzione tecnica e scientifica, sia dettata dalla specifica situazione di rischio (in tal senso, anche Cassazione, 17314/2004).

Sul punto la Corte ricorda che il datore di lavoro è chiamato a rispondere, entro i limiti dell'obbligo assicurativo, sia dei danni imputatigli a titolo di responsabilità per colpa (propria o dei propri sottoposti) sia di quelli che, nello svolgimento del lavoro, siano conseguenza di caso fortuito, di forza maggiore o anche di colpa dello stesso lavoratore.

In tale ultimo ambito, tuttavia, il dipendente riceve un ristoro solo parziale, in termini di indennizzo nei limiti del trattamento assicurativo previsto, e non di risarcimento datoriale del danno sofferto. Nel caso estremo in cui il danno derivi da un atto arbitrario dello stesso lavoratore, po i, egli non ha diritto neppure all'indennizzo, perché si è interrotto ogni nesso tra attività lavorativa e infortunio.

lunedì 19 marzo 2012

Una nuova interessante sentenza sul tema.

 Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Sentenza 7 febbraio 2012, n. 1716

Lavoro subordinato - Infortunio sul lavoro - Responsabilità del datore di lavoro - Sussistenza - Risarcimento del danno - Danno patrimoniale - Danno biologico - Danno morale - Principio di personalizzazione del danno

A norma dell'art. 2087 c.c. l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Questa norma non impone all'imprenditore una responsabilità oggettiva ogni volta che il prestatore di lavoro abbia comunque sopportato un danno. Occorre invece che l'evento sia pur sempre riferibile alla colpa del primo, per violazione di obblighi di comportamento previsti da espresse disposizioni, anche infralegislative, o suggeriti dalla tecnica, ma concretamente individuabili.
Il danno morale non deve configurarsi soltanto come riparazione delle sofferenze psichiche ma anche come lesione della dignità personale, particolarmente evidente quando un padre di famiglia venga ridotto allo stato vegetativo e così perda ogni legame con la vita, compresi i vincoli affettivi nell'ambito della comunità familiare, tutelata dagli artt. 2, 29 e 30 Cost. Sarebbe iniquo riconoscere il diritto soggettivo al risarcimento di un danno non patrimoniale diverso dal pregiudizio alla salute e consistente in sofferenze morali, e negarlo quando queste sofferenze non siano neppure possibili a causa dello stato di non lucidità del danneggiato.

mercoledì 14 marzo 2012

Il Giudice del Lavoro di Bassano del Grappa pronunciandosi in riferimento ad una fattispecie di richiesta di risarcimento danni avanzata da un dipendente nei confronti della propria datrice lavoro, ha affrontato il tema dell’onere della prova abbracciando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la responsabilità dell’infortunato sorge esclusivamente in presenza di condotte anormali, inopinabili, che esulano dal procedimento di lavoro e sono incompatibili con il sistema di lavorazione, oppure qualora vi sia stata una violazione da parte del lavoratore di precise disposizioni antinfortunistiche o di specifici ordini, dovendosi altrimenti concludere per la normale irrilevanza del concorso della condotta colposa del lavoratore, anche sotto il profilo del computo dell'entità delle conseguenze risarcitorie (così Cass. 6.7.1990, n° 7101; Cass. 8.2.1993, n° 1523; Cass. 7.4.1992, n° 4227; Cass. 17.2.1998, n° 1687; Cass. 8.4.2002 n° 5024; Cass. 18.2.2004 n° 3213), in quanto i comportamenti imprudenti o negligenti dei lavoratori devono considerarsi assorbiti dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nella misura in cui la loro adozione sarebbe stata idonea ad eliminare il rischio di simili comportamenti.

sabato 3 marzo 2012


Corte di cassazione civile sentenza 2251/12 del 16/02/2012
La responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 è di natura contrattuale, per cui, ai fini del relativo accertamento, sul lavoratore che lamenti di aver subito a causa dell'attività lavorativa svolta un danno alla salute, incombe l'onere di provare l'esistenza del danno e la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.